Lui & Lei
prime esperienze 5

24.02.2016 |
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"Fu come se tutte le candele del mio essere si fossero accese tutte assieme..."
27-----Mi rispose succhiandomi le labbra, il collo, ovunque...provavo il suo respiro caldo e affannoso, sentivo sul petto il suo cuore battere forte. Lo strinsi con le gambe avvolgendolo a me, lo volevo dentro tutto e solo per me. Mi liberò della mano che mi teneva sotto il culo, non ne ebbe più bisogno, io stessa mi davo le posizione più lubriche e libidinose. Con mia sorpresa un orgasmo travolgente mi stava raggiungendo, piegata dagli spasmi ogni resistenza fu vana. Impetuoso come un uragano di piena estate, le mie profondità palpitarono, una segreta crescete irritazione mi fece urlare...- Hooo...Siii!...Siii!... Siii Ancora!...Cosii!...Hoooo....Hoooo....Hoooo..- Vidi dapprima un cerchio di luce viva davanti a me, allargarsi, diventare immenso e rischiarare l’orizzonte senza confini. E fu il paradiso oltre il quale sarebbe esistito solo dio e gli angeli. Seguirono lunghi singhiozzi di liberazione e di sofferenza per quella che fu la mia inizializzazione. Fu un vero orgasmo causato da una vera fottuta da un membro vero di un vero uomo. Come mi disse Doxxx: mille volte meglio! Rimasi rinfronzolita non saprei dire per quanto tempo, ma quando rinvenni il desiderio si era placato e anche l’effetto sedativo aveva cessato il suo effetto. Il dolore e il bruciore si ripresentarono con tutta la loro efferatezza. Fu come se tutte le candele del mio essere si fossero accese tutte assieme. I muscoli della mia gola trattennero il grido che stava lottando per uscire, ma nella mia bocca ci fu appena un accenno del lamento del mendicante. L’imbocco della mia tana ardeva come una fiaccola viva. Ero piena di spavento, rassegnata a morire. Man mano che il possesso dei miei sensi si ricreavail dolore si acuiva. Lui si agitava con incredibile agilità, lo sfregamento vigoroso che subivo mi lacerava, mi strappava la carne come se le nostre mucose si fossero fuse in un sol corpo. Ohh!...Era troppo!.Un eccesso! Fondevo come lava ardente, gridai...di un grido terribile...che, coperto immediatamente da due o tre scosse tremende inferte dal suo rude flagello mi fustigarono il ventre di un rimbalzo incandescente che mi arrivò fino al midollo. Mi scaldò talmente che credei di avere nel grembo un ferro rovente. Un rintocco dopo l’altro la campana a morto suonava per me. Come una condannata ero sul patibolo in attesa che venisse eseguita la sentenza. Ad un tratto sembrò involarsi, il suo corpo si stacco dal mio pur restando incardinato nelle parti regali, lo vidi come una nave remota sul punto di sparire all’orizzonte. Seguì un grugnito simile a quello di un maiale sgozzato accompagnato da altri tre o quattro colpi ben assestati che, sbattendo vivacemente i talloni li incassai, Haia!..Haia! Brucia!...Hooo!...-misero così l’ultimo chiodo sulla bara spegnendo il suo delirio per la terza volta. Ancora un attimo e precipitò su di me e, come una meteora restò immoto. Grondante di sudore, inerte ma ansimante, rimase come senza vita, mentre lo ascoltavo dentro il mio ventre dissolversi in uno scialbo silenzio. Venni assalita da un periglioso presagio: se sotto i suoi colpi furiosi il profilattico avesse ceduto, tutta la bianca linfa dai mille piaceri avrebbe invaso gli interstizi del mio apparato sessuale....per me non ci sarebbe stata salvezza: una vera tragedia. Ero sopravissuta a quella cavalcata infernale, e subito un
nuovo terrificante timore mai esperito prima mi apparve minaccioso: restare pregna e per tranquillizzarmi avrei dovuto attendere che lui si fosse rimesso e se lo fosse tolto. Un costo che non avevo previsto. Fu come se il ghiaccio mi stringesse il cuore. Trascorsero alcuni minuti, non ebbi più alcuna sensazione del suo priapo e finalmente si decise di muoversi. Scivolò giù dal letto strofinando il mio corpo, anch’io mi sollevai faticosamente sui gomiti. Appena si resse sulle sue gambe e si guardò rimase impietrito. Una macchia di sangue gli colorava tutta la gramigna sul pube, e non solo. Mi guardò e ebbi la sensazione che fosse la prima volta che mi vedeva: almeno sessualmente. Solo allora sembrò comprendere che i miei lamenti non erano fasulli, che non stavo fingendo. Non parlò, ma il suo stupore lo fece per lui. Si sfilò il profilattico, si avvicinò a me e ne versò il contenuto appena sotto i miei seni, poi lo posò sul mio pancino. Con una mano mischiò quello che era sperma, sudore e sangue, me lo spanse sul corpo avendo cura di non trascurare il mio viso. Non provai ribrezzo, compresi che non era un gesto degradante né un ulteriore capriccio erotico, ma un battesimo con il valore di un sacro sigillo. Comprese che mi aveva aperta a una nuova vita. Regalandomi quegli attimi e il preservativo che decisi di conservarlo come reliquia. Coi sensi appagati lasciò la stanza. Doxx lo seguì, anche il suo progetto si era realizzato e lui certo di avermi tappato la bocca, non si sarebbe più preoccupato dei miei possibili pettegolezzi. E se proprio, anche loro avrebbero avuto buoni e valide argomentazione da usare a mio discapito. Io di certo non l’avrei voluto, né sarei andata da mia madre a raccontarle l’accaduto. Tutti felici tutti contenti, ma io stavo ancora male. Mi bruciava atrocemente, era come se avessi infilato dentro un mazzo di ortiche. Non ebbi il coraggio di guardarmela. Strinsi le mie mani tra le cosce come a difendere un bene prezioso che ormai si era consumato. Ero tutto sangue. Le labbra della conchiglia si erano infiammate, me le sentivo enormi. Inorridita pensai a una emorragia; ma perché Dxxx se ne era andata? Non riuscivo a muovermi, dopo un po’, finalmente fece capolino ben fornita di tovaglioli di carta e di asciugamani. Gli dissi - Mi ha fa tanto male- + Lo so,+ mi disse, + ma cosa ti aspettavi? che ti recitasse una poesia? Se fossi entrata al secondo round sarebbe stato più rapido e avresti sofferto di meno, è andato tutto come programmato, si è verificato realisticamente quello che avevamo previsto e tutto quello che potevi attenderti. Hai avuto una invidiabile deflorazione e la prossima volta non sentirai più nessun dolore.+ Lei aveva già pensato a quello che sarebbe stato. -Chi ti dice che ci sarà una prossima volta? - + Certo che ci sarà, ma avrai tempo per prepararti + Gli dissi della mia precedente decisione di non entrare nella stanza e la costrizione avvenuta dalla beffarda scivolata della chiave: non ero stata io ma il fato a volerlo. + Poco conta. replicò. Il precipuo è che ora hai la porta spalancata e qualcosa da ricordare e forse in futuro da narrare.+ Si era avvicinata e mi deterse dal sanguinamento. Gli chiesi se c’era emorragia, mi tranquillizzò, + No! assolutamente no! Tieniti questa garza e vai a lavarti, mentre io sistemerò il letto. + Con uno sforzo terribile discesi dal letto sfrigolandomi le chiappe sulla coperta percependo una macchia fredda, si era inzuppata di sangue e dei miei umori. Preoccupata le chiesi come avrebbe risolto quel gravoso problema. Mi rispose che la coperta era un recupero già eliminato da sua madre e sotto aveva
messo un nylon, quello che usano i pittori per coprire i mobili. Una lungimirante che tutto aveva previsto, gli dissi che di lei c’era d’aver paura. Sfibrata, sgualcita, strapazzata, con un tappo tra le cosce per non gocciolare, lasciai quel letto trasformato in un mattatoio. Mi portai in bagno e subito mi sedetti sul bidè in cerca di sollievo. Feci scorrere l’acqua fredda fino a quando non vi fu più traccia di sangue. Lo riempii e la lasciai in ammollo, il refrigerio mi portò benessere e ristoro. Un nuovo problema mi afflisse... presto avrei dovuto tornare a casa e avrei dovuto farlo da sola. Andare a piedi temevo mi facesse molto male e in più mi avrebbero chiesto il perché non usassi la bici. Sedermi sulla sella della bicicletta mi apparve un supplizio inimmaginabile, eppure avrei dovuto farcela: non avevo altre scelte. La mantenni al fresco per tutto il tempo che ebbi a disposizione. Nel contempo meditai su quello che mi era accaduto in quel tempo che era trascorso troppo in fretta in confronto a quanto avevo perduto. In una ventina di minuti avevo perso la verginità in una età ancora da scuola media, pochi minuti erano bastati per appassirmi. Freschezza, grazia, gioventù, la spugna dell’orgia aveva spazzato via tutto. Tutto sembrava insozzato, tutto gettato nella spazzatura e nel fango. La mia anima tanto ingenua l’avevo offerta alla lussuria. Niente più illusioni, niente più primo amore, non avrei più avuto dolci sorprese, tutta la mia vita di fanciulla l’avrei perduta per sempre. Mi ripresi dall’afflizione, ahimè, avrei dovuto forzatamente trovare l’ardire per affrontare il viaggio del ritorno. Non sanguinavo più, ma ancora bruciante mi apprestai a indossare i miei semplici indumenti. Piegai alcuni fazzoletti e me li misi tra il cavallo delle mutande e le grandi labbra tumefatte. Mi restava da affrontare l’ultimo calvario, penoso, ma non avevo scelta, avrei dovuto farcela per forza. Ne ero costretta. Temevo che lo sforzo e il movimento mi avrebbero riaperto lo strappo e allora sarebbero stati guai seri. Lavai il profilattico, gli feci entrare un po’ d’acqua per provare la sua integrità. Rimasi basita dall’enorme dimensione che aveva assunto. Era ancora perfetto! Lo asciugai, lo avvolsi in carta igienica e me lo misi in tasca. Mi guardai allo specchio, i miei occhi da bambina avevano assunto la tragica stanchezza di mia mamma distrutta. Con un abbraccio salutai e lasciai la casa Dxxx. Avevo un unico desiderio: essere a casa. Ma quando fossi arrivata, pensai, avrei dovuto mistificare una facciata. Non dovevo lasciar trasparire la mia alterazione, dovevo camuffare la mia sofferenza fisica e temevo che non sarebbe stato facile, ero a pezzi come se fossi stata presa a calci da un puledro. Mi sentivo la pancia gonfia, coglievo la similitudine di un anguria a cui avevano aperto un tassello per scoprire quanto fosse rossa e gustosa. E quando il probo fratellino fosse venuto a chiedermi il suo obolo avrei dovuto mantenere la mia imperturbabilità. Non potevo sottrarmi a quell’impegno preso solennemente augurandomi che la mia emotività non mi avesse tradita. Percorso il sentiero che mi portò alla strada provai, da ferma, a sedermi sulla sella. Mi faceva male, ma forse ce l’avrei fatta. Provai a pedalare. Il peso mio corpo me la schiacciò e il dolore ricomparve. Come una acrobata provai a dividere il peso come se avessi attraversato un fiume ghiacciato scivolando. Si! potevo farcela, mi sarebbero bastati una decina di minuti e ce l’avrei fatta. Tutta la tensione accumulata del giorno mi cadde di dosso come la pelle di un serpente. Rilassata, feci un riassunto di quell’immemorabile pomeriggio. Alcune cose le avevo capite. Come sentivo sovente ripetere in casa da mio padre il quale solo la terra e gli animali erano gli elementi fondamentali della sua vita, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, per cui, io non potevo restare vergine e contemporaneamente adoperarla e ora che avevo provato la quintessenza dell’eros il timore di essere una lesbica si era dissolto come rugiada al caldo sole del mezzodì. Dxxx mi appariva come una complice, quasi una rivale con la quale provai impulsi di gelosia che controllai perché ero conscia di dover con lei sperimentare nuove esperienze che a quell’età mi invadevano anima e corpo. Già immaginavo la prossima volta: come lui mi avrebbe presa, quali posizioni avrei assunto. Certa che Dxxx con la sua vitalità mentale mi avrebbe procurato altre situazioni sorprendenti, magari a tre, e appena avessi preso confidenza con il suo latin lover, avrei voluto conoscere la differenza che provava nell’infilarlo nella sua fessurina da gattina e nella mia conchiglia paragonabile a quella delle vacche che mio padre governava nella stalla. Era un assillo pungente che dovevo necessariamente rischiarare o sarebbe divenuto un complesso, una vera angustia. Avevo scoperto che il sesso, come la musica, era un gioco mentale prima ancora che fisico. Compresi che il motore era la fantasia. Essa mi dava origine a desideri che ogni volta che li avessi esauriti se ne sarebbero originati subito altri in un circolo vizioso, che come da una droga non mi sarei mai più liberata e per soddisfarli v’erano più modalità che petali in una rosa.
Che il piacere era come certi farmaci: per avere lo stesso effetto devi sempre aumentare la dose.
Rimaneva vivido l’angoscioso timore della gravidanza che mi incuteva terrore e mi provocava una paura da brividi. Non ero una manza che avrebbe partorito un vitellino da vendere al mercato, io avrei avuto un marmocchio che proprio non volevo, che avrebbe contrassegnato per sempre l’evoluzione della mia vita. “mai essere quella che ama e che si fa sottomettere” un frase sfuggita di bocca a mia madre in un momento di sconforto e che io non scordai più. Desideravo provarlo senza alcuna protezione, carne cruda, come aveva fatto Dxxx la prima volta, sui sedili dell’auto di sua mamma. Sentirlo pulsare dentro le mie viscere mentre mi schizzava dentro il suo ambrosia. Avrei avuto la necessita della pillola ma al momento era solo una chimera, una utopia in una realtà possibile ma in un orizzonte ancora lontano.
Già mi stavo eccitando. Pedalavo in modo goffo, se qualcuno mi avesse osservata si sarebbe chiesto se avessi la sella della bicicletta arroventata o se avessi una canna di bambù piantata nel culo. In effetti il dolore si era acuito, temevo che avrei di nuovo sanguinato: avevo un bel patimento da sopportare. Assorta nei mie incubi mi apprestai ad evitare un auto parcheggiata sulla strada. Arrivata a un paio di metri di distanza il conducente ancora a bordo aprì la portiera.Troppo vicino per evitarla, riflessi troppo lenti per frenare: la centrai in pieno. La bici balzò al centro della strada, io caddi sull’asfalto come un sacco di patate sbattendo la faccia contro la portiera. Non ancora ben consapevole dell’accaduto mi sollevai sedendomi sull’asfalto. Provai una fitta all’orecchio destro, una doglia al ginocchio e bruciore alla coscia e al
polpaccio. Le palpebre mi pizzicavano, avevo i lucciconi agli occhi, scoppiai in un pianto dirotto. Un pianto che non sapevo per quale ragione non riuscivo a trattene né a spiegarmi. Forse tutte le prove che avevo affrontato nella giornata così intensa di emozioni, l’acuirsi della drammaticità della situazione e il conseguente effetto ansioso, mi avevano depauperata di ogni controllo. Mi sentii una ragazzina sorpresa a limonare sul divano. Intanto il conducente vedendomi piagnucolare si avvicinò e con un tono che si usa a una bambina infelice, mi guardò e si mise a ridere, come se il mio dolore fosse divertente . Provai
disgusto come se fosse stato uno scorpione trovato nel lavandino, mi sentii travolta dal dolore e dalla preoccupazione. Lo guardai di sottecchi sostenendo il suo sguardo come avrei fatto con un cane. Con le guance infiammate per l’umiliazione, poi per la rabbia un brodetto mi riempì gli occhi e non vidi più nulla. Mi prese per le braccia per alzarmi ma io con un fremito di ripugnanza mi liberai delle sue mani come da un torpido raccapriccio, il suo volto si fece duro, come di un rimprovero, l’avevo scocciato in una giornata che stava per concludersi e ora mi permettevo pure di fare l’offesa... Nel frattempo, essendosi bloccato il traffico si era formato un piccolo gruppetto di persone, e io sentivo i loro commenti. Chi parlava commiserandomi, altri che proponevano il pronto soccorso, altri ancora l’ambulanza. Circondata, provai la paura della rana accerchiata dalla biscia. Avrei voluto dissolvermi come fantasma, ma non esisteva nessun tappeto dove nascondermi. Con un gorgoglio sommesso dissi... -- voglio tornare a casa mia.-- Rabbrividivo dalla paura, nel petto avevo una grande pietra che mi opprimeva, mi sentivo addosso occhiate indagatrici, come se tutti sapessero e vedessero la breccia che mi avevano da poco aperta. Tra i curiosi un tale si avvicinò e avendomi riconosciuta si offrì per accompagnarmi a casa. Era un artigiano, un idraulico che aveva svolto lavori per mio padre, si preoccupò di me con solerzia e rassicurandomi mi convinse ad accettare la sua offerta. Caricò la bici sul furgone e io, da sola mi alzai e ci salii sopra, chiusi la portiera e attesi gli eventi successivi. II destino ancora una volta mi era stato favorevole, dio vede dio provvede, una frase che mio nonno la cui sapienza era più antica delle montagne, sovente me la ripeteva per tranquillizzarmi. Che cosa è un incidente se non una coincidenza di tempi? L'infortunio fu uno scherzo del fato e non la conseguenza di mie manovre. Una circostanza provvidenziale da me nemmeno favoleggiata. L'imprevisto mi evitò una via crucis e sopratutto avrei potuto mascherare facilmente il mio turbamento, la mia sofferenza fisica, il mio disagio senza che nessuno fosse riuscito a riavvolgere la matassa in senso contrario e giungere alla verità. Nessuno avrebbe potuto vedere qualcosa di nero o di sporco sul mio comportamento e risalire al mio peccato appena commesso, ancora caldo, umido e sanguinante. Avrei dovuto assumere una doverosa aria di circostanza o di forma e tutto sarebbe stato motivato. Tuttavia venni sopraffatta da una malinconia di quelle pesanti e non sapevo bene il perché. L'autista mi guardò e vedendomi con gli occhi gonfi mi acquietò. ''Rilassati, andrà tutto bene, è tutto a posto.'' Continuò con- - - ''Sai ti ho fatto un paio di fotografie mentre eri stesa sulla strada, te le farò avere appena le avrò fatte sviluppare, ti potrebbero servire per l'assicurazione.'' Lo ascoltavo ma non capivo il suo discorso ne a quello a cui si riferiva, ero deconcentrata come una bambina che si sveglia in una stanza buia e non sa dove si trova. Temevo di perdere sangue e macchiargli il sedile, ma poi mi placai, se fosse accaduto la peripezia subita nella caduta sarebbe stata la giustificazione a un prematuro ciclo mestruale. Hooo! Poverina, si è tanto spaventata che- - - gli sono venute le sue cose! Ormai ero nei pressi di casa e io continuavo a piangere senza conoscerne il vero motivo. Mentre guidava scorgevo i suoi sguardi ardenti di cupidigia. Rimpiansi di non aver indossato i jeans, se l'avessi fatto forse mi avrebbero protetta dalle escoriazioni e dalle sue occhiate; ma era anche vero che non avrei potuto avere giustificazioni per piangere. Mi sentii esposta come se fossi nuda. Ogni tanto mi faceva un sorriso ambiguo e torceva la faccia con vigoria e foga. Io lacrimavo e fingevo di non vedere, era un sui quarantacinque anni, aveva più capelli bianchi di quanti pesci ci fossero nel mare. La sua età mi indusse a pensare che probabilmente non poteva essere un campione di quell'appassionante gioco. Il furgone barcollava, ad ogni avvallamento della strada ciondolavo come fanno i maiali quando li portano al macello.
Seduto di fianco a me, mentre stava guidando, continuava a guardarmi le cosce con occhi languidi in un modo da mettermi addosso un senso di disagio e di confusione, che lui, senza dubbio attribuiva al mio precedente infortunio. Casa mia era collegata alla strada principale da uno stradello di circa un centinaio di metri, alla metà era ancora presente la casa ormai abbandonata del fratello di mio nonno.
Arrivati quasi alla meta, lo invitai a fermarsi poiché il restante tragitto avrei preferito percorrerlo per conto mio.
Fermò il furgone nella corte deserta e, in una finta mossa per aprirmi la portiera si appoggiò con la mano destra sulla mia coscia sinistra, mi palpeggiò, e con la scusa dello sbilanciamento assunto, tutto il suo corpo si adagiò sul mio, sentii il suo pestifero e melmoso respiro, le sue dita si infilarono tra i calzoncini e la coscia fino ad arrivare a toccarmi la gnocchina eseguendo quella danza che gli sganchiò le dita impregnandosi di quella gioventù di cui aveva fiutato la freschezza. Sul suo viso trapelò un risolino di gioia maligna. Mi
dimenai vigorosamente, indignata lanciai un grido stridulo, verde di vergogna andai per scendere precipitosamente ma la portiera la trovai ancora ben chiusa. Poi rimasi impietrita, quasi senza vita, senza sapere né cosa fare né come muovermi. Sola con quel vecchio venni colta da un senso di sgomento e un forte tremore. Forse il mio stato di debolezza, forse la fragranza dei residui biologici rimasti sul mio corpo che avevo solo in parte rimossi o le mie lacrime, il mio atteggiamento remissivo, dovevano averlo convinto che potessi essere per lui una facile preda. Uno o l'insieme di codesti fattori l'avevano fatto precipitare in un desiderio che non potette frenare. Vedendomi tanto spaventate mi disse '' Non voglio farti del male, stai buona e sarò molto generoso con te!'' Grugnendo e sbavando di lussuria riprese il suo attacco. Mi afferrò, mi coricò sui sedili e mi fu addosso con tutto il suo peso. Catatonica, non riuscivo a reagire, rimasi in uno stato di stupore e di torpore. Mi sentivo sul punto di svenire e incapace di reagire, lui mi alzò la maglietta scoprendomi tutta ai suoi occhi e alle sua mani. Raggelata di paura non ebbi la forza né di lagnare né di gridare, incoraggiato e imbaldanzito dalle mia passività e dal mio silenzio subii i suoi pestiferi baci sulle guance, sul collo e con le mani mi palpò i seni. Ritorto come un serpente allacciato a me mi strinse e come in una morsa mi tolse il fiato subendo anche i suoi discorsi fioriti. Lo maledii per avermi ficcata in quella trappola e mi dibattei per liberarmi da quella furia, ma uno strattone ai capelli che si erano sciolti mi incollò la testa al sedile e lui con un sorriso da sciacallo, veloce come la folgore, si abbassò e mi baciò brutalmente sulla bocca rovistandomela con la lingua vorace penetrandomela senza complimenti e senza vergogna.
Mi interrogai su quale forza misteriosa mi avesse invasa da indurmi a non reagire. Lui sogghignò girandosi su di un fianco quel tanto che gli bastò per infilarmi una mano tra le cosce che tenevo ben strette, sentii la sua mano frugare tra di esse e come un artiglio mi arpionò il cavallo dei pantaloncini afferrandomi anche le mutandine. Mi diede uno strattone con il preciso intento di strapparne la stoffa, ma pur abbassandomeli due palmi della mia mano la stoffa resistette. A quel punto, messa alle strette ebbi il sussulto della bestia ferita e reagii. La ricreazione per lui era finita. Incominciai a dibattermi colpendolo con le ginocchia, lui si girò per sventare l'attacco, allora io gli presi la camicia e la strappai, affondai i miei artigli snudati nei suoi fianchi e nella sua schiena come una tigre in calore. Lui imprecò a denti stretti e mi afferrò per i capelli. '' Ti
pentirai bella mia!'' Fu come lottare contro i mulini a vento. Mentre io guerreggiavo senza posa, lui con l'altra mano raggiunse la sua cerniera dei pantaloni e in un baleno sfoderò il suo attrezzo che io non vidi ma lo percepii dall'odore che invase l'abitacolo, tanto puzzolente da far morire le mosche. Lo indirizzò senza complimenti nella direzione del mio preziosissimo solco liscio. Si agitò a più non posso, si sgolò affannosamente mentre si avvolgeva a me come alghe allo scoglio, ma io tenevo le gambe ben strette e i suoi tentativi risultarono vani. Sentivo il suo nerbo scoperto tra le mie cosce, duro come un sasso e capivo che quello era il passaggio più critico, se fosse riuscito a divaricarmele per me sarebbe stata una battaglia perduta. Con un filo di voce lo pregai- - - con gli accenti più commoventi lo supplicai di non farmi del male- - - '' Farti del male? Non voglio farti del male, io ti amo- - voglio solo ciullarti, sarò generoso, molto generoso, vedrai.'' - - Non posso signore, mi dispiace ma sono ancora vergine, veramente non posso, la prego di lasciarmi - - Fu come parlare al vento! Mi afferrò tentando nuovamente di insinuarsi tra le mie gambe che io mi ostinavo a tenere ben chiuse e nonostante ogni suo sforzo non riuscì a farmele aprire e raggiungere l'ingresso del corridoio che mi avevano da poco inaugurato. Sudava e puzzava, io sentivo solo il peso del suo corpo sopra di me e il suo lombrico che si muoveva sulla mia pelle mentre lottavo piena di indignazione e di terrore. L’uomo dimostrava di avere una smania impressionante di colmarmi la breccia, quando tutto a un tratto si bloccò. Un lungo grido rotto uscì gorgogliante dalla bocca del vecchio e echeggiò nell’abitacolo, un urlo disumano che mi raggelò fino alle viscere. Mi sembrò che il bruto, nell’impazienza e nella lotta non fosse riuscito a trattenersi e avesse suo malgrado, raggiunto l’acme del godimento. La sua improvvisa fiacca, gli spasmi del suo puzzolente pistone, la macchia calda che sentii espandersi sulla mia pelle come un amido liquido me ne dettero la certezza. Benché le mire dello scimpanzé fossero state ben chiare non era riuscito a raggiungere la soglia della mia preziosa nicchia. Una grande confusione agitava i miei pensieri, stesa ancora sotto di lui con tette scoperte, capelli scompigliati nel più grande disordine, avrei dovuto approfittare della sua temporanea impotenza per liberarmi di lui prima che la libidine dell’infame alla vista della mia giovinezza con tutto il suo fascino riaccendesse il suo fervore. La paura e l’indignazione mi diedero una intraprendenza ignorata. Con una mano armeggiai dietro la mia testa e trovai quella che mi sembrò la leva della portiera. La azionai e la porta si aprì. Arpionandomi con le mani ad asperità del mezzo riuscii faticosamente a sgusciare al di sotto del suo lercio busto. Con acrobazie circensi raggiunsi con metà del mio corpo la libertà e appesa alla portiera, ormai in salvo, con rustici movimenti ce la feci a svincolarmi.
Nel frattempo, considerando che le posizioni si erano invertite, anche lui era sceso dal furgone da quella porta che avrebbe dovuto essere la mia. Io, per proteggermi mi allontanai di alcuni metri dal furgone, temetti che, se il cugino di Dxxx per tapparmi la bocca mi avesse “fatto fumare i ferodi,“ questo energumeno per zittirmi mi avrebbe strozzata per poi disperdere per i campi le mie frattaglie. Invece lui si commiserò, era così contrito che quasi lacrimava, mi disse che non sapeva spiegarsi cosa l’avesse colto, “sei tanto bella, sei tanto fresca e profumata che ho perso la testa” Sembrava veramente desolato. Per quanto fossi indignata
per le molestie subite, per quanto fosse stato un brutale tentatore, mi commossi: anche lui era caduto vittima del fato, un turpe disegno in cui tutti eravamo vittime. La mia dea aveva avuto progetti per me imperscrutabili. Lo rassicurai che non avrei parlato con nessuno di quello che era successo a patto che mi scaricasse la bici e se ne andasse alla svelta. Esultante, borbottando e aggrottando la fronte prese la bicicletta e la posò, ma prima di mollarla volle assicurarsi che lo stessi osservando e comprendessi il suo operato. Lo vidi infilare sotto la sella un magoncino che in quel momento pur osservando e valutando
non compresi il suo intento . Salì sul mezzo e fatto manovra si allontanò. In quell’attimo capii quanta difficoltà avessero gli uomini nel ragionare razionalmente avendo i testicoli pieni di sperma. Compresi che esistono approdi in cui anche con la potenza della ragione non potessero raggiungerli, che quando la passione brucia per loro è molto difficile contenerla. Che nel sesso esistono leggi e regole diverse, -anche se necessarie-, come diverso e necessario è nuotare in acqua dove non si può camminare. Ormai sola ero felice di essere giunta quasi alla fine delle mie pene. Mi pulii le escoriazioni sulle gambe impasticciate dal budino di riso al latte del vecchio screanzato, mi avvicinai alla bici e incuriosita volli appurare in cosa consistesse quel suo gesto manifestato con tanta appariscenza. Tolsi quel fagottino da sotto la sella e con sorprendente meraviglia mi resi conto che erano soldi. Tanti soldi! Le mie gote si arrossarono di colpo. Desta dalla curiosità li contai, erano centoottanta mila lire!.... Una cifra colossale, mai avuti tanti soldi in una sola volta. Che fare? “Non li sotterrai.” Me li misi in tasca insieme al profilattico. La mia dea non era stata poi così improvvida, lei aveva visto lontano dove io non osavo neppure fantasticare. Il vecchio con quei soldi aveva comprato il mio silenzio, mi ero venduta? Puttana? Di sicuro troietta e ora anche prostituta? Il fatto non mi inquietò, io non avevo fatto nulla, non avevo deciso nulla, se quel distratto non avesse aperto la portiera io non sarei caduta, se il porco non mi avesse assaltata in quel momento sarei stata in casa tranquilla e rilassata. Mi sentii innocente come le candide rondini che volteggiavano sopra la mia testa. Presi la bici e fatta a pezzi come se fossi stata centrifugata in una lavatrice impazzita mi accinsi a superare gli ultimi novanta passi che mi separavano dal traguardo. Convinta che le esperienze sul campo mi aiutassero a capire e a interpretare in un settore dove sarebbe stato più utile intuire e anticipare piuttosto che seguire, che avrebbero ampliato le mie conoscenze al fine di soddisfare le esigenze più particolari, camminavo dolorante...ma in quel momento di trasporto mi sentii bella, e i miei passi assunsero la grazia di una cerbiatta danzante. Felice di essere giunta alla meta, entrai in casa e nascosi in un luogo sicuro i due oggetti della mia perdizione, che, per quanto sicuro, era solo provvisorio, in quanto, per precauzione avrei dovuto nasconderli fuori casa dove in ogni caso non sarei stata io la sola imputata. Salii in bagno e mi tolsi pantaloncini e mutandine, controllaii fazzoletti di carta che avevo interposto sul cavallo a protezione di un eventuale sanguinamento. Mi bruciava ancora, provavo fitte ad ogni movimento ed erano presenti lievi macchioline di rosso: ma il peggio era passato.Entrai in doccia e mi lavai tutta, capelli compresi, mi sentivo sporca e insozzata, per quanto mi lavassi avevo sempre del sudiciume addosso che non voleva andarsene. Mi arresi: mi asciugai e mi disinfettai le ferite sulle gambe spellate e sul gomito. Pensai che una rinfrescatina sarebbe stato un balsamo per il mio passerotto. Mi misi sul bidet e la misi ammollo.
Il mio pensiero volò al vetusto e ai suoi soldi che, anche se non mi avesse pagata di certo quella storia non l’avrei raccontata in giro. Mia nonna, antica come la civiltà, mi diceva che l’odore di scandalo attira di più dell’odore di zuppa. Avevo sopportato il suo alito pestifero, avevo provato disgusto quanto non riuscì più a trattenersi e si sgorgò tra le mie cosce denudate, ma a conti fatti quei cinque minuti erano stati ben corrisposti. Come li avrei spesi? Voglie e desideri erano infiniti. Ero ancora troppo confusa e non ne avevo alcuna idea. Erano molte le congetture che avrei potuto azzardare sul mio comportamento avuto col matusa, se mi fossi opposta energicamente al suo primo tentativo forse avrebbe desistito. Quale forza misteriosa era intervenuta per rendermi così inattiva? Durante il breve viaggio sul furgone non avevo che pianto, cosa di me di me l’aveva incitato per esporsi a tanto rischio? Le domande furono più delle risposte. Mentre stavo meditando su quanti destini si erano forgiati quel giorno, non mi ero resa conto che mio fratello era rientrato. Mi sorprese sul bidet. Nulla di sconvolgente, non fu certo la prima volta. Mi vide le gambe spellate e impensierito mi chiese cosa mi fosse successo. Gli rapportai della bici, la portiera e la nefasta caduta sulla strada. Subdolamente, tralasciai il “prima” il furgone e correlati. + Bella iettatura! + esclamò. Ma cosa centrasse con la parpaja e del perché la tenessi ammollo non lo comprese. Mi aveva scoperta col randello sulla noce, impantanata come un’anitra tanto valeva che ci sguazzassi dentro.
Fui costretta a inventarmi all’istante una storia che stesse in piedi senza buche e contraddizioni. Con un guizzo di genio gli spiegai che ero caduta a gambe aperte, in una rovinosa “spaccata.”
Continuai, mentendo spudoratamente che oltre alle ossa provai una anche una fitta tagliente “dentro”, e arrivata a casa mi resi conto che perdevo sangue, con apprensione gli chiesi: - Cosa pensi che mi sia accaduto?- I suoi occhi si accesero di consapevolezza e guardarono i miei in un lungo sguardo indagatore. Il silenziò aleggiò a lungo mentre l’incredulità si stava dipingendo sul suo viso. Io, mi sentivo spaesata dalle parte che dovevo ancora una volta sostenere e stentai a soffocare la sensazione di annaspare nel pantano del peccato. Bofonchio, rispose evasivamente...+ Ma...Non so...Forse,..Dovresti sostenere una visita dal ginecologo.+-Impossibile!..No! Non voglio che lo sappiano tutti- +Allora non ti resta che provare + -Provare? E come?- Risposi fintamente sorpresa. Represse un sorrisino ironico esibendone uno complice. I suoi occhi splendenti di consapevolezza si piantarono nelle mie pupille beffarde in un lungo sguardo indagatore e io scorsi nelle sue un lucore divertito che gli ballava dentro. Non avvenne alcuna risposta verbale. Mai una domanda ebbe una risposta, che seppur muta, fosse tanto eloquente e faconda. Tant’è che dopo averlo sottoposto a una esauriente radiografia gli risposi: -Non questa sera, mi fa ancora troppo male!-Mi esibì un volto raggiante come un maestro di scuola davanti al suo miglior allievo che, seppur contento, non avrebbe avuto una faccia altrettanto soddisfatta. L’erezione gli era esplosa nei pantaloni. Le dita della sua mano destra raggiunsero la sua cerniera e l’abbassò. Concatenando il movimento all’elastico delle mutande apparve d’incanto il suo ariete baldanzoso che si era rizzato come una provocazione.
Lo guardai come un marziana stupefatta per il suo ardore, mentre lui si era arrapato come un montone in fregola. Si avvicinò e d’un tratto l’ebbi in bocca. Non se l’era nemmeno lavato, era sporco di giornata e il suo sapore era simile a quello delle uova marce. Dalla foga non se l’era scoperto, così si scappellò attraverso lo sfregamento tra le mie labbra. Ero preparata al compito che mi aspettava quella sera e ero ben disposta a spolparglielo per bene come avrebbe fatto una cagnetta con un osso. Ormai il compito era diventato una routine e io ero finita col fare parte del mobilio, ero diventata l’oggetto della sua bramosia, tuttavia, quella sera la sua insensibilità mi raggirò fino al midollo. Stavo leggendo nei suoi pensieri, avevo capito che avrei potuto tenerlo in pugno se gli avessi offerto quello che più desiderava al mondo: io gli avrei aperto quello spiraglio che fino a poche ore prima era impossibile e ora era diventato possibile.
In verità ci stavamo studiando a vicenda. Lui si stava allenando su quello che avrebbe consumato, forse il giorno dopo,imbarcandosi in qualche giocosa avventura al limite del consentito e io mi sarei lasciata condurre
come una bambina che viene portata al luna-park per la prima volta senza avere la minima intenzione di deludere le sue aspettative. Si! Doveva essere proprio così, quel pregusto che lo rese diverso, dimentico che ero sua sorella e i nostri contatti dovevano essere solo formativi. La convinzione che io non fossi più una verginella lo indusse al considerami una qualunque pollastra da spennare. E questo mi infastidì. Lo fece togliendomi ogni possibilità di iniziativa, usò la mia cavità orale come se fosse una vagina fottendomi con una danza lenta che a mano a mano divenne sempre più furiosa. Lo sentii palpitare come un maialino sul ceppo, era un ragazzo cicciottello e privo di fascino ma non sprovvisto di erotismo: aveva strappato la cavezza! Per me fu una rivelazione che accolsi con sorprendente stupore. Incominciai a capire che gli uomini sono posseduti da un diavoletto e per farli ragionare prima avrei dovuto soddisfarlo. Il diavoletto. Se avessi voluto crescere avrei dovuto fargli il callo, oltre ad abituarmi ai loro odori e ai loro sapori.
Ansimò e il suo bacino incominciò a muoversi più rapidamente, seppi così che stava perdendo il controllo di
se. L’unica cosa importante di quel momento era che si liberasse di quella tensione carnale che l’aveva attanagliato e quando raggiunse l’orgasmo non si trattenne, emise un rauco gemito di piacere accompagnato
da un intenso grido di sollievo. Io sopportai le sue violente penetrazioni e quando l’ebbe concluse ci guardammo negli occhi e i suoi mi dissero: “salute” Poi lasciai scivolare in gola quel denso liquido che sapevo biancastro, senza nessun grado alcolico, non nutriente né speziato, ma che come un farmaco andava ingoiato. Quando tutto finì gli chiesi se poteva sostituirmi per quella sera nelle poche mansioni di casa che avrei dovuto svolgere, ero talmente distrutta e dolorante che non sarei riuscita a fare le scale, per cui mi sarei subito coricata. Non ci furono obiezioni di sorta. Mi rivestii dei soli indumenti intimi e andai a letto. E finalmente fu la quiete. Un dolce torpore mi invase, fu magnifico lasciarmi vincere dalla morbidezza delle lenzuola fresche e vellutate che come una coperta pietosa mi avvilupparono. Tentai di vagliare i fatti e trarne delle conclusioni di quella giornata tanto ricca di esperienze appassionanti e in parte anche drammatiche, ma indecifrabili e sicuramente irripetibili. Rividi le scene passarmi davanti agli occhi in sovraimpressione, poi..., via via i pensieri si fecero più illogici e circolari, lentamente il sole sprofondò dietro gli alberi facendo finta di nulla, le ombre si allungarono e come se un velo fosse sceso sulla mia mente tutto divenne nero. Mi addormentai e dormii facilmente da buona bambina e non feci sogni, come se non volessi mai più destarmi. Nessuno mi svegliò per la cena: ma tanto quella sera non avevo fame. Mi svegliai il mattino seguente, non avevo idea del tempo in cui ero stata nel mondo dei sogni, ma mi sentii rinata e strutturata. Mi alzai, poi andai in bagno. Poi, mi accostai a una finestra; tutto era calmo, un lungo silenzio di campagna veniva punteggiato dal canto degli uccelli. Non c’era fretta quella mattina di fine estate che segnò la fine della mia adolescenza. Feci un profondo respiro. Subito una malinconia, di quelle che non si sa il perché mi assali. Sentii improvvisamente le lacrime pungermi gli occhi e quasi scoppiai a piangere. Il sole era dorato come lo champagne e la terra respirava, c’era un profumo caldo e lussureggiante di erba che cresceva, di fiori che sbocciavano, tutto sembrava eterno, ma non io, mi sentii più vecchia di dieci anni. Tutto era rimasto uguale e tutto era diverso dentro di me. Guardai la terra muta quando una gazza spiegò le ali e volò bassa sull’orto, verso il boschetto dove pochi giorni prima presi il sole nuda. Lo vidi come messaggio vivente della perdita della mia purezza, della mia perdita dell’amore. Per sempre.
Quella mattina mi sentii strana, come se la notte precedente e tutte le giornate precedenti fossero state un sogno nel quale ero ancora immersa. FINE EPISODIO. Amichetta2016
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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